Brasile 1 – Italia 0. Ancora non sono incominciati i Mondiali di calcio ma l’Italia già subisce una sconfitta per mano carioca. E’ di circa una settimana fa la notizia che Confindustria, elaborando la “classifica” (o più precisamente la graduatoria) dei paesi produttori, ha registrato il sorpasso del Brasile proprio ai nostri danni. In testa troviamo Cina, Stati Uniti e Giappone (nonostante la crisi economica di cui abbiamo affrontato), a seguire Germania, Corea del Sud, India e proprio il Brasile. Noi, all’ottavo posto, abbiamo un volume produttivo che dal 2000 è calato del -25%, mentre quelli mondiali nello stesso periodo sono incrementati del +35%,
Una involuzione preoccupante dovuta ad aspetti spesso già da noi illustrati.
– Alto costo del lavoro: in Italia il cuneo fiscale ammonta al 47,8% del costo totale per singolo lavoratore a fronte di una media OCSE del 35,9%. Inutile confrontare il costo della manodopera italiana a fronte di quella cinese e indiana.
– Forte pressione fiscale sulle PMI: il 68,3% (contro il 46,8% della Germania, 38,7% della Spagna e 35,5% del Regno Unito) è un valore che opprime le piccole e medie imprese italiane e, tra i altri vari effetti distorsivi, ridimensiona la possibilità di autofinanziarsi. Possibile soluzione? Sgravi fiscali per le PMI che investono in ricerca e sviluppo di settore.
– Credit crunch: la contrazione del credito preclude alle imprese una delle maggiori fonti di approvvigionamento delle risorse. Un’apertura al credito da parte delle banche commerciali permetterebbe, soprattutto alle PMI, di espandersi in mercati che risentono meno della crisi. Infatti si è parlato nei giorni scorsi, soprattutto sul “Il Sole 24 ore”, del successo di quelle imprese che, in tempo di crisi, si sono rivolte ai mercati americani ed orientali.
– Contrazione della domanda interna: dovuta all’aumento della disoccupazione (ne scriveremo a breve) e alla diminuzione del potere di acquisto delle famiglie. In quest’ottica diventa ancor più importante diversificare gli sblocchi su mercati esteri meno colpiti dalla crisi. Ma questo non è accessibile a tutte le imprese poiché richiede competenze e risorse spesso fuori dalla portata.
– Erosione della base produttiva: negli ultimi quattro anni si è avuta una contrazione per 120.000 imprese e oltre un milione di occupati.
– Mancanza di politiche industriali: specialmente di lungo periodo. Infatti il programma avviato nel 2006 chiamato “Industria 2015” è praticamente naufragato due anni dopo.
– Euro forte: la forza relativa dell’Euro nei confronti della altre valute va a discapito dell’export in quanto i paesi esterni trovano un onere nel tasso di cambio sfavorevole. Tra i paesi della zona Euro solo Germania e Polonia hanno andamenti positivi ma che, secondo le previsioni degli analisti, non si protrarranno a lungo. Sotto questo punto di vista, è positivo l’indebolimento nei confronti del dollaro delle ultime settimane.
Lo studio realizzato da Confindustria sottolinea l’importanza di valorizzare i settori di eccellenza, tra tutti l’automobilistico e l’aeronautico, di investire nella ricerca e sviluppo, di incontrare la domanda estera per differenziare la clientela e di estendere la digitalizzazione per l’intera filiera produttiva.
Inoltre viene lanciato un appello alla politica affinché inizi ad attuare in breve tempo le riforme necessarie. Al contrario temporeggiando, si correrebbe il rischio di ritrovarsi un tessuto produttivo lacerato troppo in profondità ed eventuali interventi sarebbero inutili.
OSPECA
MAURO MARTINO