In Italia le famiglie hanno modificato strutturalmente i propri comportamenti di consumo. Ampie
fasce della popolazione stanno subendo un arretramento del proprio stile di vita infatti, con la crisi,
è aumentato il rischio di povertà di nuclei familiari con alcuni membri che lavorano (la cosiddetta
in-work poverty); se tradizionalmente le difficoltà erano associate prevalentemente allo stato di
disoccupato, adesso la situazione è cambiata ed infatti il rischio di essere un working poor è
cresciuto soprattutto per alcune categorie di lavoratori (i meno qualificati, con bassi livelli di
istruzione e occupati in settori a bassi salari) ma anche quei gruppi che tradizionalmente ne erano
esenti (lavoratori autonomi con dipendenti e i più istruiti) sono stati investiti dal generale
impoverimento. La soglia di povertà sotto la quale i lavoratori sono considerati “working poor”
risulta pari a 6,90 euro l’ora. Guardando alle percentuali si tratta dell’11,7% degli occupati
dipendenti mentre tra gli autonomi la quota dei poveri risulta pari al 15,9%, per un totale di circa
756 mila lavoratori. La quota di “working poor” in Italia risulta tuttavia inferiore alla media Ue, pari
al 17%. Il potere d’acquisto dei salari ha registrato un andamento abbastanza peculiare, con un significativo incremento nelle prime fasi della crisi e una caduta altrettanto marcata negli anni successivi, che ne
ha riportato il valore sul livello della metà degli anni duemila; si è quindi tornati indietro di quasi un
decennio. Guardando all’intera “massa salariale” si stima una perdita complessiva del 6,7% tra il
2009 e il 2013. Si tratta dell’effetto combinato dell’andamento “cedente dei salari reali” sommato a
un’occupazione in caduta.
L’aspetto più preoccupante della crisi riguarda senza dubbio l’occupazione giovanile infatti, ad
agosto 2014, i giovani tra i 15 e i 24 anni occupati sono 895 mila, in diminuzione del 3,6% rispetto
al mese precedente (-33 mila) e del 9,0% su base annua (-88 mila). Il tasso di occupazione
giovanile, pari al 15,0%, diminuisce di 0,5 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 1,4
punti nei dodici mesi. L’incidenza dei giovani disoccupati tra 15 e 24 anni sul totale dei giovani
della stessa classe di età è pari all’11,9% (cioè più di un giovane su 10 è disoccupato). Tale
incidenza è stabile nell’ultimo mese mentre aumenta di 0,7 punti rispetto allo scorso anno.
Al tempo stesso aumenta la quota dei disoccupati di lunga durata (quelli in cerca di lavoro da
almeno 12 mesi) che ormai raggiungono il 53,3%.
Il numero di giovani inattivi è pari a 4 milioni 372 mila, in aumento dello 0,7% nel confronto
congiunturale (+28 mila) e dello 0,2% su base annua (+9 mila).
Da sottolineare infatti anche l’aumento di coloro che hanno smesso di cercare lavoro, attestando la
retrocessione di parte della popolazione alla condizione di inattività, che a livello complessivo
l’anno scorso hanno raggiunto quota 3,1 milioni.
A livello settoriale la situazione è stata molto differente con perdite di prodotto e occupazione
concentrate nel manifatturiero e nelle costruzioni. Del milione di posti di lavoro persi durante la
crisi, più di 400mila sono nell’edilizia, e poco meno nell’industria in senso stretto. La differenza si
può notare anche territorialmente in quanto la caduta del Pil al Sud è quasi il doppio di quella delle
regioni del centro-Nord mentre la contrazione in termini di input di lavoro è di quasi 600mila
occupati nelle regioni meridionali, e poco più di 400mila nel resto d’Italia.
L’ipotesi di una discesa del tasso di disoccupazione ai livelli “pre-crisi” (ovvero intorno al 7%)
richiederebbe la creazione, da qui al 2020, di quasi 2 milioni di posti di lavoro, ovvero un
incremento medio annuo dell’occupazione pari all’1,1 per cento, prospettiva che sembra a dir poco
irrealizzabile; perché il tasso di disoccupazione non aumenti ulteriormente è invece sufficiente un
incremento dell’occupazione, da qui al 2020, di 582 mila posti di lavoro pari cioè allo 0,4 per cento
in media all’anno.
Un altro aspetto importante del mercato del lavoro è dato dalla riduzione della rigidità
regolamentare, fenomeno che sta caratterizzando non solo il nostro Paese ma anche gli altri Paesi
periferici come Spagna, Grecia e Portogallo, in particolare facilitando i licenziamenti individuali
restringendo i casi in cui il lavoratore licenziato senza giusta causa può avere diritto alla
reintegrazione a beneficio dell’indennizzo. Altri elementi legati al licenziamento individuale sono
invece rimasti invariati, ad esempio la durata del periodo di prova, che in Italia è relativamente
bassa e che contribuisce a rendere rigido questo tipo di rapporto o l’ammontare dell’indennizzo in
caso di licenziamento illegittimo.
L’ingresso di nuovi lavoratori nell’area dell’occupazione è poi frenato dal ridimensionamento della
naturale evoluzione della domanda sostitutiva di lavoro, data la tendenza a rinviare l’uscita per
pensionamento, anche per effetto delle riforme varate negli anni scorsi. A pagare sono i più giovani,
che restano così ai margini del mercato, non trovando spazi per un ingresso. Una struttura
occupazionale che invecchia ha anche effetti deleteri sull’evoluzione della produttività: frena il
cambiamento tecnologico, l’innovazione e si riflette in maniera sfavorevole sulla posizione
competitiva delle imprese.
In tal senso in altri paesi si sono attuate misure che uniscono un pensionamento graduale degli
anziani (che passano al part time qualche anno prima dell’età di pensione) alla assunzione di
giovani (sempre con contratti part time).
Si tratta di misure da sperimentare, anche per valutare i costi necessari a rendere accettabile
tale staffetta generazionale. Ma queste forme possono essere utili tanto più se, oltre a
permettere una redistribuzione del lavoro (oggi scarso), favoriscono uno scambio di competenze
e di esperienze, che serve a migliorare le condizioni di competitività e di crescita comune.
Gli scarsi investimenti in ricerca e sviluppo (1,27% del Pil nel 2012), decisamente inferiori alla
media comunitaria (2,08%), ed il fatto che la quota di imprese con a capo un imprenditore in
possesso di istruzione terziaria è in media il 29% del totale, sono due aspetti importanti che
andrebbero valutati per una svolta significativa.
Le grandi potenzialità dell’innovazione tecnologica e organizzativa, se utilizzate bene, possono
dare una nuova “giovinezza” anche a settori maturi, come l’industria e le costruzioni, con positivo
rilancio della produttività e dell’occupazione.
Allo stesso fine è importante il rilancio degli investimenti nelle grandi infrastrutture materiali
(strade, trasporti, edilizia sociale e scolastica), immateriali (banda larga) e amministrative (uffici
pubblici).
Interventi particolari si richiedono per sviluppare il potenziale produttivo delle PMI che
costituiscono una struttura portante della nostra economia e la fonte principale di occupazione.
Nel 2014 abbiamo assistito a un’accentuata discesa dell’inflazione e, paradossalmente, i salari reali
potrebbero registrare quest’anno una variazione positiva, ma i prezzi in arretramento non sono un
toccasana per l’economia. La deflazione può aggravare la crisi nei paesi più indebitati perché i tassi
d’interesse europei sono oramai prossimi a zero e quindi ad un’inflazione che si riduce,
corrisponderebbe un livello dei tassi d’interesse in aumento in termini reali.
Il sistema potrebbe iniziare a beneficiare di un contesto congiunturale meno sfavorevole non prima
dell’inizio del 2015 e sarebbe già la migliore delle ipotesi.
Nonostante si stiano manifestando anche in Italia alcuni segnali di stabilizzazione economica e
occupazionale, sono ancora incerte le possibilità di una inversione di tendenza. I costi sociali
continuano ad essere elevati come mostrano i dati sulle crisi aziendali, sulla persistente
disoccupazione specie giovanile, e sulla crescita delle povertà anche per i lavoratori e per le lorofamiglie. Per dare sostanza a una vera ripresa dell’economia e dell’occupazione non bastano
aggiustamenti alle politiche tradizionali perché i vecchi strumenti non funzionano più. Serve una
revisione complessiva e coerente delle politiche e dei tratti fondamentali del nostro assetto
economico-sociale.
OSPECA
MARIKA GUERRINI