IL CASO LUXOTTICA

Luxottica (fondata e presieduta da Leonardo Del Vecchio), è l’azienda italiana che oggi è il più grande produttore mondiale di lenti e occhiali e che controlla tra gli altri i marchi Ray-Ban, Oakley e Persol. La multinazionale ha perso il secondo amministratore delegato in due mesi infatti,
Domenica 12 ottobre, il manager Enrico Cavatorta ha deciso di lasciare Luxottica dopo una disputa
con il fondatore dell’impresa sulla nomina di una figura vicina alla famiglia nel consiglio di amministrazione. Le dimissioni arrivano a soli due mesi dall’addio di Andrea Guerra che aveva guidato l’impresa per dieci anni.
Il giorno dopo l’annuncio delle dimissioni di Cavatorta, i titoli di Luxottica sono crollati in Borsa
perdendo il 9,23 per cento (l’azione ha chiuso a 37,29 euro contro i 40,81 di venerdì 10 ottobre). Il gruppo ha quindi convocato d’urgenza un consiglio di amministrazione, che si è concluso nella tarda serata di lunedì 13 ottobre e in cui è stato deciso di trasferire temporaneamente tutte le deleghe allo stesso Del Vecchio. I problemi a Luxottica sono cominciati ufficialmente lo scorso agosto, con le dimissioni – dopo dieci anni e per «obiettivi non condivisi» – dell’amministratore delegato Andrea Guerra. Le dimissioni di Guerra avevano aperto la strada a un cambiamento nella struttura aziendale: il primo
settembre 2014 era stato annunciato che la gestione sarebbe stata assunta da un triumvirato di tre manager, coordinato dallo stesso presidente, fondatore e azionista di controllo, Leonardo Del Vecchio (80 anni il prossimo maggio) con due amministratori delegati, il primo responsabile dei mercati e il secondo responsabile dell’azienda e degli aspetti finanziari. Enrico Cavatorta era stato scelto per questo secondo ruolo, assumendo però temporaneamente – fino a nuova nomina dell’altro amministratore delegato – anche le funzioni del primo (al momento delle dimissioni era quindi di fatto l’unico amministratore delegato).
Qualche voce sull’addio del manager, connessa a un possibile incarico nel governo Renzi, era circolata nei mesi precedenti. Non sono mancate altre speculazioni, tutte rigorosamente smentite: da divergenze sui compensi a quelle sulle alleanze, e in particolare la mancata aggregazione con il gruppo francese Essilor, che avrebbe comportato una diluizione della proprietà attuale al 30% dall’attuale 66% detenuto da Del Vecchio tramite holding; a qualche dissapore sui Google Glass nati dall’alleanza con il gigante del web.
Diversi giornali hanno scritto in questi giorni che il motivo delle dimissioni di Cavatorta starebbe nell’eccessivo potere assunto dal consulente Francesco Milleri (considerato vicino alla moglie di Del Vecchio, Nicoletta Zampillo), a cui lo stesso Del Vecchio avrebbe deciso di riservare il ruolo di vicepresidente esecutivo e che ha assunto il ruolo di unico consigliere del fondatore di Luxottica.
Del Vecchio è anche la persona che controlla la Delfin S.a.r.l., società titolare del 61,35 per cento del capitale sociale di Luxottica. Un’altra ipotesi che trova spazio è una possibile non condivisione con l’ex manager sul riassetto proprietario della stessa Delfin che Del Vecchio anni fa
aveva dato in nuda proprietà a ciascun figlio per un sesto del capitale. La Delfin è stata quindi suddivisa in fette identiche del 16,38 per cento intestate ai sei eredi di Del Vecchio che ha tenuto per
sé l’1,72 e l’usufrutto delle quote dei figli. Ma Dle Vecchio nel 2010 ha risposato la seconda moglie,
Nicoletta Zampillo, dalla quale ha un figlio solo, Leonardo jr, 20 anni. Nicoletta ha chiesto di avere
in Delfin il peso azionario che le spetterebbe nella sua veste di coniuge alla morte del marito rimettendo in discussione tutti gli accordi. Domenica sera l’azienda ha pubblicato
un comunicato che conferma che Delfin è impegnata in uno studio di riassetto con l’obiettivo di
migliorarne la governance e separare ulteriormente la proprietà dalla gestione delle aziende partecipate.
Di ufficiale, con una nota del 21 agosto, c’è il fatto che da tempo andava avanti un confronto «sulle
strategie e gli assetti manageriali del gruppo». Ma soprattutto quanto dichiarato da Del Vecchio al
Sole 24 Ore: «Prima c’era un solo manager, oggi ce ne sono due, ma presto saranno tre (…) con la
consapevolezza di essere funzionali alle esigenze della proprietà (…) che si sta confrontando sul tema della successione (…) Quando si arriva a 80 anni bisogna pensare ai figli… quando arriverà il momento, ciascuno di loro troverà una collocazione nel triumvirato».
A una prima lettura sembra di trovarsi di fronte ad una marcia indietro o ad un ripensamento della linea moderna di apertura al mercato e alle sue regole, che il fondatore dell’azienda aveva intrapreso sin dagli anni ’90 con la quotazione in Borsa. Quasi un’involuzione “padronale” che riafferma con forza le esigenze della proprietà familiare rispetto a quelle dell’impresa in sé, vista come un centro di interessi che, oltre agli azionisti, riguardano i dipendenti, i fornitori, i clienti e la collettività.
Ciò a cui abbiamo assistito è una successione manageriale, mentre il tema della successione proprietaria è ancora lì, e a questo si aggiunge un altro tema, ancora più complesso, quello della successione imprenditoriale. Il caso riapre insomma gli eterni dilemmi sui destini delle grandi imprese a proprietà familiare, su cui spesso hanno pesato le ambizioni e i dissidi degli eredi.
La storia è piena di spettacolari ascese di aziende a controllo familiare che hanno saputo rinnovarsi
nel tempo e crescere ma a una condizione: niente nepotismo ai piani alti, numeri alla mano, ne
vanno di mezzo utili e quotazioni.

OSPECA
MARIKA GUERRINI

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