ANATOCISMO NELL’EU

L’anatocismo bancario si configura come un importante ingranaggio della macchina capitalista e che ha conosciuto nei sistemi moderni una rapida espansione seguita da consistenti interventi normativi finalizzati alla disciplina dello stesso. Per anatocismo propriamente si intende la capitalizzazione degli interessi su un capitale, affinchè essi stessi siano produttivi di ulteriori interessi. Possiamo così scolasticamente definirlo come “calcolo di interessi su interessi” che nella prassi bancaria sono chiamati anche interessi composti. Gli ordinamenti europei hanno cercato con interventi più o meno completi di legiferare sul fenomeno introducendo così differenti discipline nel panorama della capitalizzazione dell’interesse che si sono dimostrate in ogni caso frammentarie e non del tutto esaustive.
L’anatocismo è disciplinato in Francia dall’art. 1154 del Codice civile. L’articolo dispone che gli interessi di un debito, scaduti ma non pagati, possono essere capitalizzati, divenendo dunque produttori di interessi, a condizione che siano dovuti almeno per un anno. La capitalizzazione degli interessi scaduti su un capitale può essere stabilita o con domanda giudiziale (anatocisme judiciaire) o per effetto di una convenzione speciale (anatocisme conventionnel). Il divieto di capitalizzazione degli interessi sancito in tale articolo subisce però una deroga nel caso di anatocismo bancario la quale non trova riscontri sul piano normativo ma risulta essere il frutto di elaborazione giurisprudenziale e dottrinale.
In Germania, la capitalizzazione degli interessi è disciplinata in particolare da due disposizioni. La prima è il § 248 del Codice civile tedesco (BGB), la seconda è il § 355 del Codice del commercio (HGB). Il comma 1 dell’articolo 248 stabilisce che è nullo l’accordo concluso anticipatamente (vale a dire prima della scadenza) in base al quale agli interessi scaduti si applicano nuovi interessi. Scopo di tale divieto è di evitare un eccessivo accumulo d’interessi in caso di ritardi nei pagamenti. Il Codice civile prevede, tuttavia, delle eccezioni: il comma 2 dell’articolo 248 stabilisce che le casse di risparmio, gli istituti di credito e i titolari di attività bancarie possono preventivamente pattuire che gli interessi non riscossi dei depositi debbano valere come nuovi depositi produttivi di interessi. Gli istituti di credito autorizzati ad emettere obbligazioni al portatore produttive di interessi per l’ammontare dei mutui da loro concessi, possono farsi promettere preventivamente su tali mutui la corresponsione di interessi sugli interessi arretrati. Il § 355, comma 1, del Codice del Commercio stabilisce che se una persona intrattiene con un imprenditore un rapporto di affari in base al quale sorgono pretese e obblighi reciproci, vengono imputati interessi sul conto e viene effettuata periodicamente la compensazione fra i rispettivi crediti e debiti, in modo da accertare l’eccedenza a favore dell’uno o dell’altro contraente (conto aperto, conto corrente); in tal caso colui che risulta avere un’eccedenza può richiedere, a partire dal giorno in cui è stato effettuato il saldo, gli interessi su tale importo, anche se nel conto è già compreso il computo degli interessi. Il conto può essere chiuso in ogni momento, anche durante il periodo di decorrenza dello stesso, con la conseguenza che colui che ha maturato un’eccedenza può richiederne il pagamento immediato.
L’art. 1109 del codice civile spagnolo dispone che gli interessi scaduti diventano interessi legali dal momento in cui sono richiesti in via giudiziale, anche se nell’obbligazione vi sia silenzio su questo punto. Nei negozi giuridici commerciali ci si attiene a quanto dispone il codice di commercio. L’art. 317 del codice di commercio dispone che gli interessi scaduti e non pagati non producono interessi. I contraenti possono comunque capitalizzare gli interessi liquidi e non soddisfatti, che producono nuovi redditi come aumento del capitale. L’art. 319 del medesimo codice dispone che dal momento in cui sia interposta una domanda giudiziale, non si possa più realizzare l’imputazione dell’interesse al capitale al fine di esigere maggiori redditi. L’art. 1 della Ley de 23 de julio de 1908, de la Usura dispone la nullità di tutti i contratti di prestito in cui si stipuli un interesse notevolmente superiore al normale e manifestamente sproporzionato rispetto alle circostanze del caso o in condizioni tali che risulti come “leonino”, essendoci motivi per sospettare che sia stato accettato dal prestatario a causa della sua difficile situazione o dei limiti delle sue facoltà mentali.
Nel Regno Unito, la disciplina della capitalizzazione degli interessi non è materia di previsioni di legge, ma ha fonte preminente nell’autonomia contrattuale, in linea con una tradizione giuridica che vede affidata soprattutto al diritto giurisprudenziale (common law ed equity), e in misura solo residuale allo statutory law, la regolazione dei rapporti di diritto privato patrimoniale.La corresponsione di interessi, siano essi derivanti da obbligazioni pecuniarie oppure da obblighi di risarcimento del danno, ha assunto, nell’evoluzione storica, forme e statuti diversi. Preclusa, in origine, sulla base di motivazioni etico-religiose, essa si è storicamente delineata, nell’elaborazione giurisprudenziale, quale istituto tipico dei rapporti patrimoniali. La sussistenza del relativo obbligo in capo al debitore è stata, infatti, riconosciuta dalle corti principalmente in due casi: quando ciò fosse disposto dal contratto oppure previsto dagli usi commerciali applicabili al rapporto dedotto. La deroga al tradizionale divieto si è poi consolidata, nel XIX secolo, nella giurisprudenza della House of Lords, che ha attribuito portata generale all’obbligo di corrispondere interessi non limitandolo ai profili risarcitori correlati al ritardato pagamento di un debito. Sul versante legislativo, l’erosione della tradizionale regola preclusiva degli interessi si è avuta per effetto di disposizioni introdotte a metà del XIX e nel corso del XX secolo, che hanno ammesso la liquidazione giudiziaria di interessi pecuniari in una varietà di casi. In mancanza, tuttavia, di una disciplina organica, la materia è sottoposta al principio della libera pattuizione tra le parti e alla discrezionalità attribuita alle corti circa l’individuazione del tasso d’interesse applicabile. Ciò rende ragione della complessità dei criteri utilizzati nel Regno Unito per la determinazione degli interessi, nonché della estrema variabilità dei medesimi, segnalata dalla Law Commission al legislatore (da ultimo nel 2004) nella prospettiva di perseguire una maggiore uniformità in materia.Del pari, non è data una definizione normativa del tasso d’interesse usurario; tale soglia è stabilita dalla giurisprudenza in sede di applicazione delle disposizioni di tutela dei consumatori e di controllo delle condizioni generali dei contratti di credito al consumo (in applicazione del Consumer Credit Act 1974). Fatta eccezione per il limite della unfair relationship posto all’autonomia contrattuale, la sussistenza del diritto agli interessi riferito ad un’obbligazione pecuniaria si correla, di norma, all’applicazione di interessi sia semplici che composti (compound interests).Oltre agli accordi che espressamente prevedono la corresponsione di interessi composti, hanno validità, alla stregua di clausole implicite, gli usi commerciali, che integrano la disciplina contrattuale qualora non contenga previsioni al riguardo; vengono in rilievo, a tale proposito, i codici di autoregolamentazione bancaria, come quello adottato dall’associazione bancaria del Regno Unito.Un vincolo all’applicazione del solo interesse semplice è posto dalla disciplina sul ritardo nei pagamenti, concernente i rapporti contrattuali conclusi per la fornitura di beni e servizi tra soggetti esercenti l’attività d’impresa. In questo caso, è prevista la corresponsione di interessi al saggio dell’8% oltre il tasso di base stabilito dalla Bank of England, con incrementi computati interessi semplici e non composti. La vigenza dell’istituto degli interessi anatocistici nell’esperienza giuridica britannica è attestata, da ultimo, dalla sua applicazione in materia di rimborsi da parte dell’amministrazione finanziaria per crediti di natura fiscale. In un caso del 2007 (Sempra Metals Ltd v Inland Revenue Commissioners), la House of Lords ha stabilito l’applicabilità del compound interest alla restituzione di somme versate dal ricorrente all’erario sulla base di un’erronea interpretazione della legge e in considerazione dell’arricchimento ingiusto dell’amministrazione fiscale. In un caso più recente (Littlewoods Retail Limited and Others v HMRC), la High Court ha riconosciuto il diritto del ricorrente alla liquidazione di interessi anatocistici sulle somme rimborsate a fronte di un versamento dell’IVA eccedente il dovuto. Riguardo al caso di specie rileva che, pronunciandosi sulla questione pregiudiziale sollevata nel 2011 dalla stessa High Court, la Corte di Giustizia Europea aveva affermato nel 2012 (Caso C-591/10) l’insussistenza nell’ordinamento euro-comunitario di un diritto alla corresponsione di interessi anatocistici, e rimesso al giudice nazionale la verifica della compatibilità delle norme di diritto interno con i principi generali dell’Unione Europea.

OSPECA
Michele Maccarelli

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