RECESSIONE E RIPRESA ECONOMICA DEGLI STATI UNITI DAGLI ANNI ’20 AGLI ANNI ’30

Durante il primo conflitto mondiale, la spesa federale crebbe molto rapidamente fino a raggiungere il triplo delle entrate fiscali. Nel 1920 il governo intraprese una severa politica di tagli alla spesa per cercare di riportare il bilancio in pareggio, che condusse però ad un periodo, seppur breve, di recessione. Al rientro dei soldati, che vennero reinseriti nella forza lavoro, la produzione di beni di consumo ritornò a crscere permettendo così agli Stati Uniti di ripartire rapidamente.
I primi tre presidenti del periodo post-bellico, i repubblicani Harding, Coolidge e Hoover agirono in favore delle grandi imprese, favorendo soprattutto il settore industriale, bancario e finanziario. Sul fronte monetario, la Federal Reserve applicò una politica di bassi tassi d’interesse, basse riserve obbligatorie e crescita della base monetaria facendo in questo modo espandere il credito. Questa manovra portò dei risultati positivi nel breve termine sui mercati finanziari, che realizzarono in questo modo forti guadagni. Ma, proprio a causa dei timori di un eccesso speculativo di Wall street, nel 1928, la Federal Reserve invertì la politica monetaria, alzando i tassi d’interesse. Il trend di crescita che fino ad ora era stato favorevole, iniziò a presentare i primi segni di inversione di tendenza nel settembre del ’29, per poi culminare nel mese successivo, in cui si verificò il crollo di Wall Street del 29 Ottobre, il così detto martedì nero. Il fenomeno ovviamente ebbe delle ritorsioni su diversi canali, a partire da una forte riduzione dei redditi da capitale delle famiglie che riducendo i loro consumi, provocarono, con un effetto domino, una caduta della domanda e di conseguenza il calo della produzione e dell’occupazione. Il crollo dei mercati, inoltre, produsse effetti anche sul canale bancario portando ad una crisi di liquidità, che trasmettendosi al settore produttivo, portò ad una crisi degli investimenti. La Federal Reserve, per cercare di diferendere il dollaro da un esorabile deprezzamento causato da attacchi speculativi, alzò nuovamente i tassi d’interesse, aggravando ulteriormente le condizioni dell’economia reale. Questa politica di difesa del dollaro continuò poi a manifestarsi anche negli anni successivi, quando, a seguito della crisi della sterlina, valuta centrale, al tempo, per gli scambi internazionali, la Banca d’Inghilterra fu costretta ad abbandonare il gold standard a seguito di numerosi attacchi speculativi. La Banca Centrale Americana, invece, per difendere la convertibilità ed il gold standard, continuò ad alzare i tassi, frenando gli investimenti e la ripresa economica. Secondo molti economisti, tra cui il keynesiano Paul Krugman, la scelta di difendere il gold standard, alzando invece di abbassare i tassi d’interesse, preferendo quindi la difesa della valuta rispetto agli obiettivi produttivi e occupazionali, è una delle cause della gravità della depressione e delle difficoltà riscontrate dagli Stati Uniti per uscirne. Infatti, l’economia americana riprese a crescere solamente nel 1933, proprio a seguito dell’uscita dal gold standard e del lancio del New deal.

OSPECA
FABIO MORELLI

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