FISHER E LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA

Irving Fisher (New York 1867-1947) fu uno dei maggiori economisti monetaristi dei primi del 900.
In campo finanziario a lui si deve la formalizzazione dell’ equazione per stimare la relazione tra tassi di interesse nominali e reali (nota come l’equazione di Fisher).
Lavorò anche in ambito statistico contribuendo in modo determinante alla teoria dei Numeri indice analizzandone le proprietà teoriche e statistiche.
Fu inoltre presidente all’American Economic Associaton nel 1918 e dell’American Statistical Association nel 1932 nonché fondatore nel 1930 della International Econometric Society. Fisher fu anche un salutista attivo in campo sociale, sostenitore del vegetarianismo, del proibizionismo e dell’eugenetica.
Mori a New York nel 2947.

In ambito economico Fisher elaborò la teoria quantitative della moneta, per spiegare quali cause influiscono sul valore della moneta.
Questa teoria fu enunciata da diversi autori fin dal secolo XVI, ma ricevette una formulazione rigorosa solo alla fine dell’Ottocento ad opera di Fisher.
Egli sostiene che un incremento della quantità di moneta in circolazione determina un proporzionale aumento del livello generale dei prezzi, perciò una conseguente diminuzione del potere d’acquisto della moneta. Viceversa, una contrazione della quantità di moneta causa una diminuzione dei prezzi di uguale percentuale.
Per elaborare questa teoria Fisher partì dal presupposto che in un mercato circola tanta moneta per quanto è il valore delle merci e dei servizi che in quel periodo vengono scambiati.
Questa corrispondenza venne espressa con la funzione:
MV=PQ
Dove:
– M= moneta in circolazione
– V= velocità di circolazione (cioè il numero di passaggi che, nel periodo considerato, la moneta subisce)
– P= livello generale dei prezzi
– Q= quantità di beni e servizi scambiati in un dato periodo
Fisher afferma che la quantità di moneta in circolazione moltiplica per il numero di volte che la moneta passa di mano in mano, è uguale alla somma delle quantità dei beni scambiata, ciascuna moltiplicata per il rispettivo prezzo.
Partendo da questa funzione, egli suppone che nel breve periodo V e Q fossero costanti, osservando che la velocità di circolazione dipendesse dalle abitudini dei soggetti economici (che variano solo nel lungo periodo) e che il volume dei beni scambiati ( data l’esistenza di un equilibrio automatico di piena occupazione, come sostenevano i neoclassici) non potesse essere aumentato nel breve periodo. Da qui il motivo per cui un aumento della moneta in circolazione provocherebbe un conseguente aumento del livello dei prezzi.
Essenzialmente questa teoria nasce in virtù del fatto che la moneta nella teoria classica è solo un mezzo di intermediazione degli scambi per cui un aumento della quantità di moneta in circolazione ha la conseguenza di far aumentare la domanda globale dei beni. Siccome il sistema opera gia in piena occupazione, perciò non può espandere la produzione, a questo aumento di domanda consegue l’aumento dei prezzi.
Possiamo infine ricordare un’altra formulazione dell’equazione di Fisher, che tiene conte dell’esistenza della moneta bancaria (cambiali, assegni, ecc):
MV + M’V’ = PQ
Dove M’ rappresenta la moneta creata dal sistema bancario e V’ la sua velocità di circolazione.

La teoria di Fisher fu però criticata da numerosi economisti che successivamente hanno rielaborato la teoria quantitativa apportando della modifiche.
I primi a muovere obiezioni alla sua teoria furono quelli della scuola di Cambridge, i quali introdussero una nuova formula che pone in relazione la quantità di moneta (M) con il reddito; in seguito poi, anche l’economista Keynes, sostenne che è impossibile che Q e V siano costanti e che il variare di M può determinare una variazione di Q, spezzando così il legame positivo presupposto da Fisher tra quantità di moneta in circolazione e livello dei prezzi.

OSPECA
SILVIA DE SANTIS

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