IL PUBBLICO IMPIEGO

” Il Job Act non si applica al pubblico impiego” : lo ha spiegato chiaramente il Presidente del Consiglio Matteo Renzi e confermato successivamente il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti. “Tutta la discussione sulla legge delega è stata fatta sul lavoro privato – prosegue il Premier – e non avrebbe quindi senso estendere tale disciplina ai pubblici dipendenti”.

Per comprendere al meglio la vicenda, tuttavia, occorre fare un piccolo passo indietro.
La questione della possibile applicazione della nuova normativa in materia di lavoro privato ( il Job Act ) anche al pubblico impiego, infatti, è stata prospettata per la prima volta dal giuslavorista e senatore Pietro Ichino, uno dei principali autori della previsione legislativa. In un colloquio con il Corriere della Sera il Senatore si era detto ” certo che le nuove regole saranno applicabili anche ai dipendenti pubblici” e , a riprova di ciò , aveva affermato che ” quasi all’ultimo momento è stata cancellata la norma che ne prevedeva espressamente l’esclusione” .
Ecco qui, dunque, il punto cruciale della questione.
Da un lato, infatti, il senatore Ichino sostiene che se il decreto uscirà nel testo attuale, la disciplina in esso contenuta si applicherà anche nei rapporti del pubblico impiego.
Sarebbe questo l’effetto automatico determinato dalla soppressione, voluta da Renzi il 24 Dicembre in Consiglio dei Ministri, del comma 3 dell’art 1 del decreto attuativo del Job Act . Tale comma sanciva, infatti, espressamente l’esclusione dell’impiego pubblico dal campo di applicazione del decreto; ma la sua eliminazione, spiega Ichino, comporta inevitabilmente che le norme del Job Act valgano anche per il pubblico impiego.
Dall’altro lato, invece, la posizione di Renzi : il comma che escludeva l’applicazione delle norme sul lavoro privato nei confronti del pubblico impiego era del tutto inutile, poiché fin dall’inizio la discussione condotta prima sulla legge delega e poi sui decreti attuativi ha avuto come proprio oggetto il lavoro privato. Da qui, dunque, l’insussistenza di una applicazione estensiva della norma e quindi l’inutilità di una simile polemica. Secondo il Presidente del Consiglio, infatti, e secondo lo stesso Ministro Poletti, le norme disciplinanti il rapporto di lavoro pubblico verranno appositamente analizzate e discusse dal Paramento nel progetto di riforma della Pubblica Amministrazione guidato dal Ministro Madia ( di cui seguiremo lo sviluppo qui su Ospeca).
La disputa, dunque, sembra presentarsi principalmente quale questione di tecnica ed interpretazione legislativa, ma gli effetti che possono derivare dalla prevalenza dell’una o dell’altra tesi sono tutt’altro che trascurabili.
Occorre, tuttavia, tener presente anche un altro aspetto della vicenda.
La legge, infatti, generale e astratta quale è , poi si invera nella concreta realtà sociale ed economica. E la realtà concreta che è stata prospettata nella, ormai nota , assenza in massa dei vigili di Roma durante la notte di Capodanno, parla di un inquietante numero di soli 165 agenti effettivamente reperibili sugli oltre mille che inizialmente avevano dato la loro disponibilità. E’ stata forse questa la spinta emotiva che ha portato ad interrogarsi sulla disciplina da applicare al pubblico impiego, con le conseguenti opposte visioni del senatore Ichino e del premier Renzi.
Tutto ciò, tuttavia, non può far altro che testimoniare l’imminente necessità di una riforma o quanto meno di un riordino della disciplina del pubblico impiego, al di là della questione di interpretazione del testo legislativo, per quanto interessante per gli addetti ai lavori.
La delicatezza della materia, del resto, è testimoniata dalla stessa Costituzione, quando all’art 97 viene sancito che ” i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che ne siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.
Imparzialità dunque e soprattutto buon andamento della Amministrazione : già i padri Costituenti nel 1948 ne avevano compreso l’importanza ed il processo di integrazione europeo ha aggiunto a questi caratteri dell’attività amministrativa anche il necessario rispetto del principio di proporzionalità, ragionevolezza, trasparenza, efficacia, contraddittorio…
Tutto ciò conferma la centralità nei tempi moderni di un apparato amministrativo efficiente, perché pubblica amministrazione vuol dire Stato, vuol dire interesse pubblico, vuol dire condivisione e partecipazione.
Non lo dimentichino i cittadini e soprattutto non lo dimentichino pubblici dipendenti, funzionari e dirigenti.

OSPECA
SIMONE CIMA

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