La Spagna non è il nostro modello da seguire. Perché? In cosa consistono le riforme spagnole? Le misure adottate a Madrid sono invece molto più recenti e risalgono al 1° semestre del 2012, quando il governo Rajoy tentò di dare una risposta all’impennata della disoccupazione, liberalizzando fortemente il mercato del lavoro e attenuando le tutele contro i licenziamenti. Come hanno evidenziato tempo fa gli analisti del servizio studi di Bnl , uno dei pilastri della riforma spagnola è stato l’indebolimento degli accordi collettivi nazionali di lavoro, a vantaggio dei contratti aziendali. In pratica, le imprese iberiche possono rinunciare oggi al contratto collettivo della loro categoria e introdurre modifiche alle condizioni di lavoro dei dipendenti (inclusi i salari, gli orari e i turni), in presenza di particolari ragioni economiche e organizzative. Le riforme di Rajoy hanno allentato molti dei vincoli di legge contro i licenziamenti, sia individuali che collettivi. Per quest’ultimi, è stato eliminato l’obbligo per le imprese di ottenere prima un’autorizzazione amministrativa, mentre resta in vigore il vincolo dei negoziati sindacali. Per portare a termine dei tagli al personale, le aziende devono dunque confrontarsi prima con le organizzazioni dei lavoratori. Sono stati però limitati i casi in cui i licenziamenti collettivi possono essere annullati dal giudice con una sentenza. Ancor più significativa la deregulation attuata per i licenziamenti individuali. Le imprese iberiche, infatti, possono oggi lasciare a casa un dipendente non appena subiscono un calo del fatturato o una riduzione del reddito ordinario che si protraggono per tre trimestri consecutivi. Inoltre, in caso di licenziamento senza giusta causa, l’indennizzo spettante al lavoratore è stato ridotto da 45 a 33 giorni di stipendio, per ogni anno di anzianità nell’azienda, con un tetto massimo che non può superare comunque le 24 mensilità di salario (contro le 42 previste in precedenza). Nella riforma spagnola non mancano poi alcuni incentivi alle nuove assunzioni. Le piccole e medie imprese con meno di 50 addetti, per esempio, possono beneficiare di agevolazioni fiscali sui nuovi contratti di lavoro stipulati, se non hanno effettuato tagli al personale nei sei mesi precedenti. A parte quest’ultimo dettaglio, però, è indubbio che le misure adottate dal governo di Madrid si siano molto concentrate sulla flessibilità in uscita. L’obiettivo del governo Rajoy è stato infatti quello di stimolare le assunzioni, rendendo meno difficile licenziare. La “Riforma del Lavoro” è stata approvata per decreto legge, e peggiora un mercato del lavoro già flessibile che sta producendo le disoccupazione più alta di tutta Europa. Se poi guardiamo all’occupazione giovanile, il dato diventa drammatico. Circa il 50% di disoccupati a fronte del 22% della disoccupazione generale. La riforma del lavoro facilita i licenziamenti: questa è la filosofia, utilizzando gli indennizzi, peraltro ridotti. Le imprese fino a 50 dipendenti (sono il 99%) possono utilizzare un nuovo contratto con libertà di licenziamento, senza indennizzo, durante il primo anno. Si elimina l’autorizzazione amministrativa per i licenziamenti collettivi. Si facilitano i licenziamenti nella Pubblica Amministrazione. La riforma assesta un colpo senza precedenti al diritto del lavoro spagnolo e indebolisce la contrattazione collettiva. Come si evince dalla nota dei sindacati spagnoli, la filosofia che si sta sviluppando è in linea con i dettami delle istituzioni europee. La ratio della scelta del Governo spagnolo è semplice: favorire l’impresa e penalizzare i lavoratori, cancellando i diritti, riducendo il salario, costruendo un nuovo modello di società, che vede l’essere umano soggiacere alla logica del profitto e dell’interesse economico. Permette alle imprese di non applicare i contratti collettivi, è un invito a non rispettare gli impegni contrattuali!
OSPECA
MICHELE FASCETTI