Emanato nel 1993 con il d.lgs n. 385, il Testo Unico Bancario ( TUB ) costituisce un corpo organico di disposizioni volte a coordinare ed, in qualche caso, a disciplinare innovativamente sia l’esercizio di attività finanziarie sia gli intermediari deputati allo svolgimento delle stesse. Ne fanno parte, inoltre, norme dedicate alle autorità creditizie, poteri di vigilanza, gruppi bancari, disciplina delle crisi, trasparenza delle condizioni contrattuali e credito al consumo, per un totale di 162 articoli suddivisi in nove titoli.
L’introduzione del Testo Unico ha modificato i pilastri normativi del sistema bancario, mutando persino la nozione stessa di banca. La precedente legge bancaria del 1936, infatti, condizionata dalla grande crisi del 1929 e in parte dall’ideologia fascista, considerava la banca come una pubblica istituzione da guidare e porre sotto tutela, facendo così di quello creditizio un comparto non solo regolato ma anche, e fondamentalmente, eterodiretto. Il regime economico e politico di quegli anni, del resto, si stava avviando verso un modello di organizzazione fortemente accentrato, con un sempre maggiore intervento dello Stato nell’ economia. La legge bancaria rifletteva tale contesto socio-politico sancendo all’art 1 che la raccolta del risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito erano “funzioni di interesse pubblico”. Obiettivo primario realizzato con tale legge fu quello, dunque, di creare un’unica struttura pubblica alla quale affidare la difesa del risparmio e la disciplina della funzione creditizia. Tale struttura era costituita da un Comitato di Ministri presieduto dal Capo del Governo e alle cui dipendenze veniva posto l’Ispettorato per la difesa del risparmio e l’esercizio del credito, a capo del quale figurava il Governatore della Banca d’Italia. L’interposizione della Banca d’Italia tra potere politico e mercato svolgeva una duplice funzione di garanzia, sia dell’ordinato svolgimento dell’attività creditizia e sia dell’applicazione delle regole adottate in sede politica.
Un secondo elemento centrale nella legge bancaria del 1936 era la distinzione tra enti che raccoglievano risparmio a brave termine e quelli operanti nel medio e lungo periodo. La distinzione faceva si che il settore del credito si fondasse su un principio di specializzazione delle imprese bancarie basata sulla durata delle operazioni di raccolta. Si creava però, in tal modo, un “pluralismo istituzionale” per cui risultavano operanti nel settore creditizio diverse categorie di intermediari.
La scelta di politica legislativa che orienta la redazione del TUB nel 1993 si mostra, invece, profondamente diversa. L’ art 10, infatti, del d.lgs n. 385 sancisce espressamente che “la raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito” costituiscono non ( come nella legge del 1936) funzioni di interesse pubblico, bensì “l’attività bancaria”, la quale, prosegue l’articolo, “ha carattere di impresa”. La norma risulta centrale poiché per la prima volta viene definito cosa sia, in che cosa consista l’attività bancaria: il suo proprium viene ravvisato nella c.d intermediazione, cioè nel nesso organico sussistente tra il momento della raccolta di risparmio presso il pubblico e il momento dell’esercizio del credito. Tale nesso non opera a livello del singolo atto ( nel senso che ad ogni concessione di credito debba corrispondere una previa raccolta di risparmio) ma a livello dell’attività bancaria globalmente intesa ( nel senso che la massa dei depositi alimenta a sua volta la massa dei crediti). Ma soprattutto l’art 10 del TUB impone un cambiamento di visuale della nozione stessa di banca : non più organo esercente un pubblico servizio sottoposto alla longa manus del potere politico, quanto piuttosto soggetto che svolge attività imprenditoriale, assumendo a tutti gli effetti la natura di impresa, operante in regime di libera concorrenza ( ai sensi dell’ art 2195, comma 1, n.4 c.c. e ai sensi dello stesso art 41, comma 1 della Costituzione). D’altronde è proprio da questa particolare conformazione dell’attività bancaria e dalla inscindibilità dei suoi due momenti costitutivi di raccolta del risparmio tra il pubblico e di esercizio del credito che trae origine e senso la categoria dei contratti bancari introdotta nel codice civile agli art 1834 e seguenti.
In aggiunta, infine, alla attività bancaria in senso stretto le banche possono esercitare, ai sensi del terzo comma del medesimo art 10 del TUB, “ ogni altra attività finanziaria nonché attività connesse e strumentali”. Dal quadro complessivo emergente da tale norma risulta, pertanto, attuata dal Testo Unico Bancario una despecializzazione temporale e funzionale del sistema bancario e creditizio: il TUB elimina infatti la precedente distinzione tra enti raccoglienti risparmio a breve, medio e lungo termine, semplificando così il variegato panorama di categorie di intermediari precedentemente esistente . Il modello organizzativo che viene abilitato è quello, invece, della c.d banca universale, il quale si traduce nella possibilità per le banche di raccogliere il risparmio ed esercitare il credito senza limiti di durata, di destinazione e di forma tecnica oltre che nella possibilità di svolgere altre attività finanziarie non riservate dalla legge a determinati tipi di intermediari.
Ma la diversa vocazione più liberale che anima la redazione del TUB emerge anche da un’ altra norma del decreto, l’art 14, rubricato “Autorizzazione all’attività bancaria”. In tale articolo, infatti, viene sancito che la Banca d’Italia subordina il rilascio di tale autorizzazione ad una verifica di mera legittimità, cioè ad un semplice riscontro della sussistenza delle condizioni richieste dalla legge (tra cui : forma di società per azioni o di società cooperativa per azioni a responsabilità limitata, capitale versato non inferiore a quello determinato dalla Banca d’Italia, requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo). Diversamente, ai sensi dell’ art 28 della previgente legge bancaria, l’organo di vigilanza concedeva la autorizzazione ( relativa non solo all’esercizio ma anche alla costituzione) all’esito di una valutazione puramente discrezionale, in ossequio alla relativa pretesa dirigistica.
Oggi naturalmente non viene più messa in dubbio la natura di impresa delle banche, consolidata non solo a livello normativo ma anche socio-culturale, eppure il Testo Unico Bancario conserva la sua utilità in tutta la sua attualità soprattutto quale intervento normativo finalizzato a riequilibrare il rapporto tra banca e cliente. Il suo scopo, tuttavia, non è quello di fissare autoritativamente la disciplina inderogabile del contratto bancario o di alcuni suoi elementi essenziali, bensì di creare i presupposti affinchè il regolamento negoziale sia definito dalle parti quanto più possibile in posizione di parità. Per fare ciò il Testo Unico sottolinea l’importanza del momento della trasparenza , cioè della effettiva conoscibilità ( attenzione, non conoscenza) da parte del cliente degli elementi essenziali del contratto bancario assicurata mediante l’imposizione a carico della banca di una serie di obblighi di pubblicità e di informazione ex art 116 e 117 del TUB. Banche e intermediari finanziari sono tenuti a rendere noti ai clienti i tassi di interesse, i prezzi e le altre condizioni economiche relative alle operazioni e ai servizi offerti; devono redarre per iscritto il contratto e consegnarne una copia al cliente, indicando chiaramente gli elementi essenziali del contratto, con relativa nullità delle clausole di mero rinvio agli usi; vengono inoltre posti dei limiti allo ius variandi, cioè alla facoltà che tradizionalmente la banca si riserva di modificare in peius per il cliente le condizioni contrattuali durante lo svolgimento del rapporto. La violazione di tali obblighi viene sanzionata sia in sede amministrativa sia in sede civile, per lo più attraverso una declaratoria di nullità (ora totale, ora parziale con conseguente integrazione autoritativa) del relativo contratto.
OSPECA
SIMONE CIMA