A fronte di un tasso di disoccupazione particolarmente elevato, specialmente tra i giovani, Il Job Act 2015 costituisce la risposta del Governo Renzi ad una situazione deficitaria del mondo del lavoro italiano.
L’obiettivo, apertamente dichiarato, è quello di rendere più flessibile e dinamico il mercato del lavoro, favorendo conseguentemente l’occupazione.
La creazione di un sistema lavoro maggiormente flessibile, del resto, sia in entrata che in uscita, è stata costantemente perseguita negli ultimi anni dal legislatore italiano.
Il Job Act 2015 rappresenta quindi l’ultima tappa del percorso di evoluzione che negli ultimi anni ha visto protagonista il settore del lavoro in Italia : a partire dagli anni Settanta fino ad oggi, infatti, il mondo giuslavoristico italiano ha subito profondi cambiamenti, strutturali e normativi, capaci di mutarne quasi completamente le caratteristiche iniziali.
La prima tappa di questo percorso è costituita dal c.d. Statuto dei Lavoratori (l.300/1970) : conquista storica dei lavoratori, un riconoscimento formale e legislativo della loro dignità e del loro valore, ottenuto all’esito di un periodo di forti tensioni sociali aventi il loro culmine nel 1968 e nel c.d. autunno caldo del 1969.
E’ proprio allo Statuto dei lavoratori che si devono numerosissime libertà e diritti riconosciuti ai lavoratori, ancora tremendamente attuali, tra i quali la libertà di opinione sul posto di lavoro, la tutela della salute e della integrità fisica, il diritto di associazione e di libertà sindacale, fino alle tutele garantite contro licenziamenti illegittimi ( art. 18 dello Statuto).
Successivamente, poi, per fronteggiare una strutturale ed elevata disoccupazione, con la Riforma Biagi ( d.lgs. 276/2003) il sistema normativo lavoro è stato invece orientato ad una maggiore flessibilità, specialmente in entrata, introducendo così nuove tipologie contrattuali subordinati prima inesistenti ( quali contratti a progetto o collaborazioni coordinate e continuative).
Infine, elementi di flessibilità, stavolta prevalentemente in uscita, sono stati previsti dapprima dalla Riforma Fornero ( l.92/2012) e dalla parziale modifica all’art 18 che essa ha predisposto, e poi dal Job Act del Governo Renzi dei nostri giorni.
Quali sono, dunque, gli obiettivi e i punti cardine della riforma del lavoro attuata dal governo Renzi?
• tutele crescenti: il primo obiettivo del Job Act è quello di creare nuova occupazione stabile. Il governo intende quindi rilanciare e far diventare il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti la forma privilegiata di assunzione e, per fare ciò, ha previsto forme di decontribuzioni sulle nuove assunzioni a favore dei datori di lavoro e caratteristiche di maggiore flessibilità nell’uscita dal mondo del lavoro.
• tutela del lavoro: il Job Act punta alla equità sociale, con diverse forme di sostegno al reddito per chi è disoccupato ( c.d. politiche passive del lavoro).
Tra queste, le più rilevanti sono la NASPI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego) e l’ASDI ( assegno di disoccupazione involontaria), complementare alla prima.
• politiche attive : oltre alle politiche passive di sostegno al reddito, il Job Act promuove specialmente le politiche attive, volte a favorire la ricollocazione del lavoratore tramite percorsi personalizzati e diretti ad acquisire nuove conoscenze. Viene quindi istituita una Rete Nazionale dei servizi per le politiche del lavoro, coordinata dalla nuova Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (in acronimo ANPAL).
• semplificazione : viene predisposto un riordino e una semplificazione delle varie tipologie contrattuali, eliminando quelle meno diffuse o quelle utilizzate in maniera distorta come le collaborazioni a progetto o le associazioni in partecipazione.
A distanza di soli pochi mesi dalla entrata in vigore dei decreti attuativi del Job Act risulta forse prematuro esprimere una valutazione complessiva della reale efficacia di tale intervento legislativo sul settore lavoro.
L’impatto iniziale è sicuramente positivo, visti i buoni numeri fatti registrare nei primi mesi in termini di nuove assunzioni o di trasformazioni di precedenti rapporti di lavoro in contrati a tempo indeterminato.
E’ tuttavia lecito sollevare qualche perplessità sulla tenuta di questi positivi risultati iniziali nel lungo termine, quando le de-contribuzioni diminuiranno fino ad azzerarsi del tutto e quando al termine del periodo triennale di assunzione le tutele aumenteranno ed i rapporti contrattuali andranno stabilizzati definitivamente.
OSPECA