Ci siamo già occupati in questa sede del debito pubblico Europeo, cercando di spiegare la nuova normativa sulla diminuzione del debito dei governi nazionali introdotta nel patto di stabilità e di crescita dalla commissione Europea. In questo articolo vogliamo fare un passo indietro cercando le motivazioni che hanno indotto la politica comunitaria a concentrarsi pressoché esclusivamente sulla regolarità dei conti pubblici, tralasciando misure orientate allo sviluppo e alla crescita che avrebbero posto un freno alla disoccupazione nel vecchio continente. L’avversione all’utilizzo delle politiche economiche discrezionali è uno dei pilastri di tutte le teorie di stampo neoclassico, sviluppatesi da Smith in poi. La convinzione che il sistema economico tendesse automaticamente al reddito potenziale rendeva le politiche di bilancio inutili e dannose: un aumento della spesa pubblica ad esempio produrrebbe maggiore inflazione e si sostituirebbe alla spesa privata, senza creare benefici in termini di reddito o di occupazione. Uno degli ultimi lavori fondati su questo filone teorico è quello di Reinhart e Rogoff: “Growth in a time of debt” del 2010, che certificherebbe l’influenza negativa di un elevato rapporto debito-pil sulla crescita, e la conseguente necessità di ridurlo anche nelle fasi economiche recessive. Nel loro lavoro i due studiosi sostengono che quando il debito lordo estero raggiunge il 60% del Pil la crescita dell’economia cadrebbe di due punti percentuali, mentre per livelli di debito superiori al 90% del pil la crescita dello stesso sarebbe all’incirca dimezzata. Questo paper, uno degli unici che dimostrano empiricamente il legame tra debito pubblico e crescita, è stato accolto da subito con entusiasmo, al punto da ispirare la politica economica di molti governi, arrivando a giustificare la politica di austerity europea. Peccato che il lavoro di Reinhart e Rogoff, analizzato da tre economisti del Massachussets: T. Herndon, M. Ash e R. Pollin, si sia rivelato pieno di errori clamorosi che ne hanno minato il fondamento teorico.
Vale la pena allora ricordare il pensiero di Keynes, che qui risuona molto attuale:
“Le idee degli economisti e dei filosofi politici, tanto quelle giuste quanto quelle sbagliate, sono più potenti di quanto comunemente si creda. In realtà il mondo è governato da poco altro. Gli uomini pratici, che si ritengono completamente liberi da ogni influenza intellettuale, sono generalmente schiavi di qualche economista defunto.”
Tornando al debito, osservando il grafico vediamo come fino al 2008 questo si sia mantenuto attorno al 70% del pil, per poi assumere una dinamica al rialzo raggiungendo per l’anno 2013 il “pericoloso” livello del 90%. Detto questo, possiamo essere d’accordo con l’opinione dei paesi più virtuosi che sia necessaria una riduzione del rapporto debito-pil, ma questo non deve rappresentare né l’unico obiettivo né tantomeno quello prioritario. Anche perché a ben vedere il problema potrebbe essere risolto con una seria e determinata politica orientata alla crescita, che oltre a creare occupazione per milioni di giovani Europei ridurrebbe automaticamente l’ormai demonizzato Debito.