IL QUANTITATIVE EASING DELLA BCE

Il compito primario della BCE è garantire la stabilità dei prezzi: né troppa inflazione né una caduta nel fenomeno opposto, la deflazione. È ben noto infatti che con la deflazione cadono i consumi e gli investimenti, l’economia ristagna e il peso del debito aumenta. Il tasso d’inflazione nell’area euro è in frenata dall’inizio del 2012 e dall’ottobre del 2013 ha improvvisamente rallentato sotto l’1%. Da allora è calato ancora di più fino a diventare negativo a dicembre (-0,2%). La BCE deve riportarlo all’obiettivo del 2% ma non può più farlo con la tecnica convenzionale di ridurre i tassi d’interesse richiesti sui prestiti che pratica alle banche, quei tassi sono infatti già a zero. Non resta che la via “quantitativa”, cioè la creazione di moneta: il Quantitative Easing.
Il QE europeo consiste nel lancio di un programma di acquisto di titoli di Stato da 60 miliardi di euro mensili a partire da marzo. L’intervento di politica monetaria durerà almeno fino a settembre dell’anno prossimo (19 mesi), per un totale di 1.140 miliardi di euro. Draghi ha chiarito che gli acquisti di obbligazioni con rating investment, sia governative che di società, andranno avanti fino a quando si riaggiusteranno le prospettive di inflazione. Il criterio per la ripartizione dell’intervento è basato sull’azionariato della BCE: l’Italia ha una quota del 17% e gli acquisti riguarderanno scadenze tra i due ed i trent’anni.
Nel suo intervento, Draghi, ha avvertito che le singole banche centrali si prenderanno in carico il rischio dell’operazione fino all’80% degli acquisti e, nonostante un largo consenso sulla suddivisione del rischio al 20%, la Bundesbank ritiene scorretto che la BCE compri titoli assumendo su di sé il rischio, nel caso in cui determinati Paesi facessero default, di subire perdite che potrebbero poi essere suddivise pro-quota sulle banche centrali nazionali azioniste della Bce
(Bundesbank inclusa). Draghi, a questo proposito, ha sottolineato che non c’è alcuna eccezione per la Grecia, ma una semplice deroga che consente di comprare titoli con rating speculativo ma solo in presenza di un programma di assistenza.
Draghi ha successivamente chiarito altri due punti fondamentali: che le cedole sui titoli di Stato, che verranno comprati dalle banche centrali nazionali, non potranno essere utilizzate in futuro per un alleggerimento nei bilanci nazionali e che la BCE ha un doppio limite negli acquisti di titoli, pari al 33% per il debito di ciascun emittente e al 25% per ciascuna emissione.
Nella sua visione più semplice, il QE può contribuire a risollevare la dinamica dei prezzi verso livelli normali per effetto della creazione di moneta da parte della Banca Centrale Europea. Una quantità maggiore di euro in circolazione infatti, a parità di prodotti in vendita, dovrebbe portare ad un aumento dell’inflazione (alzando i prezzi) e ad una svalutazione dell’euro (favorendo in questo modo le esportazioni).
Il QE, “alleggerimento quantitativo”, è una manovra che mira all’acquisto da parte della BCE di obbligazioni di vario tipo (titoli di Stato ma non solo) dalle banche, che avranno in questo modo una maggiore liquidità.
Per avere denaro per sostenere la loro economia, i loro servizi e le loro attività, gli Stati emettono titoli che possono essere acquistati dai cittadini, dalle imprese e dalle banche, le quali hanno bisogno di denaro liquido per poter potenziare le proprie attività di prestito e investimento.
I governi europei potrebbero permettersi di spendere più denaro, aumentando la spesa pubblica per diverse attività legate al breve e al medio-lungo periodo. Nel primo caso politiche per incentivare e stimolare occupazione e consumi, nel secondo investendo denaro nella costruzione di infrastrutture, dalle strade alle ferrovie passando per quelle per le telecomunicazioni (la ormai leggendaria, per l’Italia, “banda larga”).
Il QE non è una novità mondiale: l’ha già messo in atto il premier giapponese Shinzo Abe, proprio per spezzare la spirale deflattiva che ha avvolto negli ultimi anni il suo Paese e anche la Federal Reserve che con il QE, dal 2008 a oggi, ha espanso il suo bilancio da circa 600 miliardi a quasi 4.500 miliardi di dollari (e ha visto il PIL ed il tasso di occupazione in crescita).
Ma in Europa il QE potrebbe non funzionare altrettanto bene in quanto le imprese del Vecchio Continente, e soprattutto quelle italiane, attingono al credito in modo diverso rispetto a come avviene in America. Negli Stati Uniti le imprese si finanziano presso le banche per circa il 27% del credito che ottengono, e per il resto lo fanno emettendo titoli di debito (bond) sui mercati. Per loro l’aiuto della Fed, che riduce i tassi sui bond a sette o dieci anni, è dunque prezioso. In Europa invece circa metà del credito alle imprese passa dalle banche e in Italia la quota è ancora più alta. Per quanto riguarda poi le piccole e medie imprese, quelle dove si trova la gran parte dell’occupazione, il credito in bond in Europa rappresenta una frazione inferiore al 5% dei finanziamenti totali. Per funzionare in pieno, in Europa, il QE dovrebbe essere accompagnato da un forte taglio delle tasse ma questo è reso più difficile dai vincoli europei al bilancio.
Da sottolineare che si sono registrati subito i primi cambiamenti significativi, dopo che il presidente della BCE ha lanciato il Quantitative Easing, con il rendimento dei Btp a 10 anni sceso all’1,579%, quello dei Bonos spagnoli all’1,41%, quello dell’Oat francese allo 0,602% e quello dei Bond irlandese all’1,145%.

OSPECA
MARIKA GUERRINI

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