Solitamente approcciamo il pensiero di Keynes ad un’idea evolutasi negli anni a seguito di crisi economiche e cambiamenti continui nei mercati e nei pensieri di molti economisti.
Lui è stato il primo a cambiare quello che era lo schema classico d’idea su reddito nazionale, disoccupazione, produzione, domanda, investimenti, tasso di interesse, spesa pubblica, facendo ricredere molti sul rapporto che vi è tra le varie componenti economiche.
Il suo pensiero fu, nel corso degli anni, a seguito anche della crisi del ’29, adottato e seguito da molte economie, soprattutto europee vedendo un po’ come innovativo e in grado di ristabilire la situazione economica dell’epoca.
Sostenendo l’intervento dello Stato nell’economia, al fine di risolvere il problema dell’occupazione, quindi di trovare una soluzione a quella che anche oggi è una vera e propria piaga sociale ovvero la disoccupazione, lo ha portato ad essere un vero e proprio rivoluzionario nel campo economico.
Keynes ha fondato il suo pensiero sulla domanda di beni e servizi generata da un sistema economico in un certo lasso di tempo, indicando così qual è il vero potenziale economico di un’economia globale o locale: la domanda aggregata.
La sua opera principale, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, spiega a pieno quello che è il suo pensiero, basandosi sulla domanda aggregata, indicando come la somma di consumi e investimenti portino all’ottenimento del reddito nazionale.
In circostanze di disoccupazione e una capacità produttiva nulla (o inutilizzata), dovremmo agire tramite un aumento dei consumi (spesa) e degli investimenti al fine di ottenere un incremento del reddito e quindi dell’occupazione.
Per molti Keynes rimane l’economista più influente dei nostri tempi e le sue opere, l’evento più significativo della scienza economica del ventesimo secolo. Per altri il suo pensiero è definito tramontato, la sua teoria sbagliata e ci ha addirittura portato ad una posizione precaria. Per Keynes il sistema come lo conosciamo, non funziona necessariamente bene, può infatti generare disoccupazione di massa e rimanere bloccato in tali condizioni indefinitamente o per periodi molto più lunghi. La rinuncia alla sua regolazione è quindi insensata, dato che è possibile farlo funzionare in modo tale da ottenere livelli di occupazione più soddisfacenti utilizzando politiche espansive e fiscali monetarie. D’altra parte vi sono coloro che ritengono tale teoria del tutto insensata, in quanto sostengono il sistema economico funzionale, eccetto periodi (brevi), se sui mercati si lascia spazio alla concorrenza senza la parte pubblica che interviene. Va detto che politiche come quelle keynesiane, a lungo termine avrebbero un riscontro decisamente negativo: le finanze pubbliche andrebbero deteriorando, entrerebbe in gioco l’inflazione e come risultato finale avere un aumento drastico della disoccupazione. Nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale fu attribuito proprio a Keynes il merito di aver allontanato il pericolo della disoccupazione, con una relativa stabilità dei prezzi e una crescita economica decisamente sostenuta. Negli anni ’70 si ebbe un ribaltamento di fronte, in quanto la credibilità di Keynes venne meno. Molti governi e anche economisti lo colpevolizzarono, attribuendogli la piena responsabilità dell’inflazione sfrenata con l’immediata disoccupazione e del dissesto delle finanze pubbliche. Magari avrebbero prima potuto farsi un’analisi di coscienza analizzando anche i rischi che proprio Keynes non andava a nascondere o non menzionava, a proposito delle misure di espansione della spesa pubblica corrente. Da un po’ di anni a questa parte il prestigio di Keynes è tornato nuovamente alla ribalta, perlomeno nella zona europea, al fine di risolvere il problema sempre costante della disoccupazione che affligge l’Europa oggi come ai tempi di Keynes, anche se per dinamiche diverse, i sui testi sono stati nuovamente analizzati per cercare nuove soluzioni. Tralasciando per un momento le polemiche scaturite sul pensiero di Keynes, possiamo ricordare l’importanza dell’analisi macroeconomica, la generale accettazione degli schemi di contabilità nazionale e l’uguaglianza contabile tra risparmio e investimento, la più attenta considerazione della moneta come riserva di valore alternativa ad altre attività finanziarie, il ruolo più pregnante attribuito all’incertezza, alle aspettative e alla fiducia degli operatori. La stessa deflazione definita da Keynes come un male peggiore dell’inflazione moderata è oggi quasi condivisa in maniera generale ( anche dalla BCE, stando alle dichiarazioni ufficiali). La relazione macroeconomica tra domanda e offerta, oltre a radicali contrapposizioni, vi sono oggi posizioni decisamente variegate: da una parte i keynesiani ritengono che la domanda svolga un ruolo determinante, apparendo sempre più disponibili al non sottovalutare quello dell’offerta, e di conseguenza ad appoggiare proposte volte ad aumentare la flessibilità dei mercati dei beni e del lavoro. Dall’altro lato, pur continuando a privilegiare ampiamente gli aspetti relativi all’offerta e a negare ogni validità alle tesi del keynesismo, osservano con preoccupazione la persistenza della disoccupazione europea e non negano che le aspettative negative e la debolezza della domanda, che per lo più ritengono derivante da fiscalità eccessiva, ne siano almeno parzialmente responsabili. In entrambe le parti l’estremismo sembra un po’ meno accentuato, può quindi favorire il raggiungimento del consenso su alcune proposte particolari di politica economica anche se non lascia intravedere la possibilità di una nuova sintesi teorica. Le due visioni rimangono così ancora decisamente separate sul funzionamento del sistema economico lasciato a se stesso, se sia caratterizzato da instabilità molto forte e se sia o meno in grado di garantire una buona occupazione.
Le varie teorie economiche che vennero formulate da Keynes, si rifanno alla sua epoca dove appunto vi era una periodo di forte instabilità, uno spiccato tasso di disoccupazione. Vennero però, come altre teorie economiche considerate negli anni a seguire da paesi con una buona occupazione e una stabilità economica affermata. A favore di questi, vi era una buona crescita dei redditi reali, una moderazione salariale e bassa inflazione, una crescita regolare della produttività, un costo dell’energia decisamente ridotto, delle aspettative ottimistiche delle imprese, una sostenuta accumulazione di capitale, un buon funzionamento del sistema Bretton Woods e una stabilità dei cambi finanziari. Con tali condizioni, la regolazione macroeconomica avrebbe dovuto svolgere una funzione decisamente modesta. Ciò non avvenne anche per la troppa fiducia data da parte dei governi e dei keynesiani. La colpa ricadde subito sui pensieri di Keynes anziché su chi agiva. Durante il periodo storico però si è potuto constatare che tali eventi non siano isolati e di breve durata ma si ripetono nel tempo. Proprio alla base delle teorie di Keynes vi è l’ipotesi che tali eventi possano verificarsi e ripetersi. Ciò dovrebbe far sorgere l’idea o perlomeno il pensiero, di rianalizzarle in maniera molto accurata anziché prenderle come uniche dato anche che sono conclusioni di teorie basatesi su ipotesi opposte. Una tale rianalisi potrebbe portare anche alla formulazione di pensieri ignorati finora, analizzandoli e magari anche aggiornandoli. Era proprio Keynes che sosteneva l’utilità delle teorie economiche al fine di capire la realtà e adattarsi perciò ad essa. Lui stesso non si sentiva affatto obbligato a difendere ostinatamente e a oltranza le sue posizioni precedenti.