GLI EFFETTI DELLA SECONDA CRISI PETROLIFERA (E NON SOLO) IN ITALIA

Continuando l’analisi a ritroso nel tempo dei principali contesti caratterizzati dall’inflazione, in questa sede proverò a rappresentare gli aspetti principali della complessa crisi economica tra gli anni ‘70 e ‘80.
Non ci si faccia trarre in inganno: scrivo sì della seconda crisi petrolifera e dei suoi effetti negativi sull’economia italiana ma anche di come questa sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso o, volendo, una concausa della crisi seguente di cui ancora oggi subiamo gli effetti.

La seconda crisi petrolifera del 1979 è scaturita a seguito della rivoluzione islamica in Iran e dalla successiva guerra con l’Iraq. La conseguente instabilità del paese, importante esportatore di petrolio, e la difficoltà di approvvigionamento hanno determinato nei mercati internazionali ad un brusco rialzo del prezzo dell’oro nero (in dollari +150% e in lire +230% su base annua). Questo rincaro colpì, chiaramente, i paesi importatori, Italia inclusa.
Sebbene i rincari registrati nella prima crisi petrolifera del 1973 fossero più alti (+260% in dollari e +300% in lire), gli effetti sull’economia italiana furono notevoli e si protrassero per almeno altri tre anni.
Infatti la crisi del ’73 aveva dimostrato la dipendenza delle economie industrializzate dal petrolio arabo. Dunque per ovviare alle difficoltà del momento e per scongiurare il loro riproporsi in futuro, i governi occidentali diversificarono le fonti di approvvigionamento energetiche (aprendo anche a quelle rinnovabili) ed incentivarono la ricerca tecnologica e scientifica con lo scopo di superare la dipendenza dal greggio.
Nonostante queste misure intraprese, nel 1979 si riscontrarono le stesse problematiche anche se in minore intensità. L’implementazione delle nuove tecnologie non era sufficientemente avviata e gli apparati produttivi dipendevano ancora in larga parte dal petrolio.

Come ho già scritto la scorsa settimana nell’articolo “Capire l’inflazione per allontanare il pericolo deflazione” l’indice generale dei prezzi è fortemente influenzato dal costo delle risorse energetiche. Perciò non stupisce osservare che, già dal 1973, l’inflazione si attesta sulla doppia cifra toccando picchi del 19% nel 1974 e del 21,8% nel 1980
L’aumento esponenziale dei costi produttivi creò non pochi problemi alle imprese italiane anche perché non potevano trasferire l’intero rincaro degli input sui prezzi. Infatti i tassi di crescita del reddito non erano paragonabili a quelli dei prezzi, perciò gli italiani si videro abbattere il loro potere d’acquisto.
D’altra parte il governo non rivide i criteri di spesa pubblica come invece auspicabile in un momento, particolarmente lungo, di aumento dei prezzi e dei tassi d’interesse. Si sarebbe potuto comprendere una alta spesa pubblica se fossero state rivalutate le voci e i criteri di spesa. Così non fu quindi, a fronte di una riduzione del PIL reale, si ebbero anni caratterizzati da disavanzo primario alimentando il debito pubblico.
Riduzione dei redditi e del PIL, aumento dei prezzi e dei tassi d’interesse: ecco i motivi per cui il debito pubblico aumentò e con esso la spesa per interessi. Nel 1980 il costo del debito ammontava al 5,6% del PIL.
I rimedi sono la riduzione della spesa pubblica o l’aumento del prelievo fiscale. La prima era onerosa dal punto di vista politico (figuriamoci, d’altro canto siamo nel periodo d’oro delle assunzioni politicizzate nel settore pubblico), si preferì aumentare la pressione pubblica attraverso le imposte dirette. Gli effetti furono accentuati dalla struttura progressiva dell’imposizione e dalla alta inflazione, determinando una sorta di disincentivo al lavoro e alla produzione (nel 1982 il tasso di disoccupazione era all’8%).

Alimentato dalle spese per interessi, il rapporto debito pubblico/PIL crebbe giungendo all’88% nel 1987 (più del 30% in solo 7 anni!!). Inoltre nei primi anni ’90 la situazione economica non fece altro che peggiorare i conti pubblici (105% nel 1992 e 121% nel 1994).
Perciò se oggi abbiamo una alta tassazione avendo un alto debito pubblico per lo più non supportato da una accettabile crescita economica, lo dobbiamo in parte alle crisi petrolifere che smorzarono la nostra crescita ma, soprattutto, alle scelte politiche sbagliate dei primi anni ’80. La colpa è dell’intera classe politica di allora ma anche della generazione passata che ha vissuto grazie alle vacche grasse alimentate no dalla crescita economica, come nel secondo dopoguerra, ma dal debito pubblico.
In altre parole i sacrifici che abbiamo sopportato e che, in larga parte, ancora dobbiamo sopportare li dobbiamo ad uno stile di vita passato ben al di sopra delle possibilità.

OSPECA
MAURO MARTINO

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