La disoccupazione in Europa è un fattore che sta divenendo sempre più allarmante. Sebbene negli ultimi mesi ci siano stati lievi segnali positivi per lo stanziamento del livello di disoccupazione nella zona euro all’11,9% (dal 12,0 % del febbraio 2013), considerare questi dati come l’incipit di un inversione di tendenza, sarebbe probabilmente
un errore. Si può poi, o meglio, si deve considerare che se l’area euro staziona all’11,9%, l’UE nel suo complesso, considerando quindi anche quei paesi che non hanno adottato l’euro (Gran Bretagna, Danimarca, Polonia ecc.), si pone al 10,6% (dal 10,9% del 2013). Questo farebbe sorgere qualche dubbio sulla capacità dell’euro di favorire l’occupazione. Secondo Eurostat poi sono circa più di 26 milioni i disoccupati nell’Unione Europea di cui circa 19 milioni nella sola zona euro.
L’Italia si attesta ufficialmente al 13,0% (oltre l’1,2% in più dal febbraio 2013) e nella zona euro sono
solamente cinque i paesi con un tasso di disoccupazione più alto: Cipro (16,7%), Spagna (25,6%), Portogallo (15,3%) Slovacchia (13,9%) e Grecia (27,5); mentre, nella zona non euro, sono solamente due: Bulgaria (13,1) e Croazia (17,6).
I più alti tassi di disoccupazione sono tutti in area euro.
Tuttavia, va poi considerato quanto siano effettivamente veritieri questi dati.
Queste cifre nazionali, infatti, non considerano una grossa fetta dei disoccupati: circa 8,8 milioni di persone sarebbe disposta a lavorare, ma ha smesso di cercare un impiego perché scoraggiata dalle prospettive di mercato; 9,2 milioni di persone, invece, sono occupati part-time, o altrimenti detti precari (circa 600 mila sono in Italia), che vorrebbero lavorare a tempo pieno.
Considerando quindi questi ultimi numeri si evince come ci siano circa 18 milioni di persone che non sono considerati disoccupati, per i criteri con cui si definisce la disoccupazione, ma che effettivamente lo sono o lo saranno presto.
Ritornando alla recente situazione italiana e ricollegandosi al discorso appena fatto va notato come il recente “Jobs Act” sia di fatto una riforma che aumenterà la precarietà.
Grazie ad uno dei punti del decreto, sarà infatti possibile aumentare da 12 a 36 mesi la durata dei contratti a tempo determinato senza causale, cioè quelli per cui non è obbligatorio specificare il motivo dell’assunzione.
Se riforme come questa aiuteranno a favorire l’occupazione è ancora presto a dirsi, ma sicuramente
contribuiranno a falsare ancora di più i dati sulla reale ed effettiva disoccupazione.